Dalla TV al video streaming: il caso “Mare fuori”

Netflix parla anche in italiano, lo sanno bene tutti gli appassionati spettatori di serie come “Mare fuori”, il prodotto che più di tutti gli altri italiani ha fatto registrare un successo paragonabile a quello di serie di punta internazionali. La fiction rappresenta un caso studio molto particolare per tornare a parlare di video e di streaming analizzando nuove dinamiche di comunicazione e distribuzione che hanno coinvolto anche serie ritenute “classiche” della tv nazionale, da guardare sul divano in famiglia. Sapevi che Netflix offre in catalogo anche altri titoli storici di Rai e Mediaset? “Don Matteo”, per esempio, “Un medico in famiglia”, “I Cesaroni”…

Ma cosa possiamo dedurre dal successo della serie che più di tutte ha evidenziato il potere del video streaming e del suo pubblico, e quale panorama ci presenta questo esempio per raccontarci il costante cambiamento del mercato dell’audiovisivo?

La storia di “Mare fuori”

“Mare fuori” è un prodotto pensato da Rai Fiction per Rai2, la rete dedicata a un target più giovane, che possa svecchiare la paludata platea del servizio pubblico italiano. La prima serie di “Mare fuori”, composta da 12 episodi di un’ora, va in onda regolarmente, in tv, dal settembre 2020 ottenendo un discreto successo. Successo che per certi versi è inaspettato: nonostante il target, i dati dimostrano che l’interesse può essere esteso anche a platee più generaliste, e puntata dopo puntata lo share cresce (ci stiamo riferendo ai dati che riporta Cinematografo, citando a sua volta dati elaborati da CeRTA su numeri Auditel).

Nell’autunno 2021 va in onda la seconda stagione e registra un significativo aumento del target di giovani, sul quale si innesta l’azione della piattaforma regina dei video on demand, Netflix. Il fenomeno comunicativo è interessante e parte da un accordo commerciale stretto tra Rai e la piattaforma per le prime due stagioni. La serie entra quindi nel catalogo Netflix come si entra in un acceleratore: “Mare fuori” inizia a essere sempre più cercato, fino ad accedere alla top ten delle serie italiane, e poi a quelle estere! Il decollo è notevole e fa librare in alto nelle classifiche di gradimento la terza stagione, che parte nel 2023: un vero e proprio trampolino di lancio insomma, che proietta lo streaming della serie su cifre mai viste

 

Passaparola o non solo? 

I dati ci raccontano del tentativo della Rai di sperimentare nuove strategie di distribuzione per testare le reazioni del pubblico e capire meglio le dinamiche del mercato del video on demand. La serie parte infatti sui canali classici, ma è anticipata anche su Rai Play, dove raggiunge un dato record: un ascolto medio di oltre tre milioni di persone. Come scrive Cinematografo, si tratta del “primo, grande successo per un prodotto originale italiano di fiction fuori dal perimetro della programmazione televisiva tradizionale”.

Che sia merito solo della nuova modalità di distribuzione a mezzo streaming? La questione è più complessa, come ci dimostrano casi analoghi legati al crescente successo di video che rimbalzano tra dinamiche web, scelte di contenuto e fruizione. Su “Mare fuori” si è probabilmente generato un effetto mediatico particolare in cui ha avuto un ruolo di spicco la distribuzione, certo, ma anche il passaparola social. Segno che, come ci piace ricordare, una buona strategia di comunicazione deve stare attenta a dettagli e dinamiche differenti per armonizzarli insieme e doppiare così con successo il proprio obiettivo. 

I più cattivi sostengono che sia stata proprio la Rai a non promuovere adeguatamente il prodotto, così che il suo “caso” esplodesse solo una volta approdato su Netflix. È anche vero il contrario, e cioè la capacità di Rai di sfruttare l’incremento sulla piattaforma per portare pubblico su RaiPlay. Il successo della terza stagione di “Mare fuori”, con oltre 105 milioni di visualizzazioni in solo un mese su RaiPlay, racconta di come Viale Mazzini abbia “acceso la miccia” fuori da casa propria, riuscendo tuttavia ad attirare poi il pubblico sui propri canali

Evoluzione del mercato, innovazione tecnologica, ma anche comunicazione: c’è un intreccio di fattori dietro l’ascesa di “Mare fuori”. È un fenomeno da non sottovalutare, evitando di gridare al miracolo o all’incapacità dei soggetti coinvolti, e concentrandosi invece sull’analisi di tutte le sfaccettature che abbiamo cercato di evidenziare. Il target, da non dare mai per scontato, la qualità del prodotto, la distribuzione, ma soprattutto l’intera strategia di comunicazione nella sua complessità. Studiata a tavolino o meno, è stata certamente la modalità di presentazione e comunicazione della serie a coronarne il successo. 

Cosa dici, è tempo di dedicarti a una corretta strategia di comunicazione per fare il grande salto? Siamo a tua disposizione per costruire una comunicazione ad hoc e fare del tuo brand e dei tuoi prodotti la nuova “Mare fuori”! 

Netflix: Questione di sostenibilità, o c’è dell’altro?

Sarà capitato anche a te: condividere l’account di Netflix con amici, cugini, o persone con le quali veniva comodo dividere i costi dell’abbonamento, o semplicemente alle quali ti faceva piacere dedicare il favore. Ora la policy della più nota piattaforma di streaming online è cambiata, e così le regole sulla condivisione della password e i piani tariffari proposti. Questione di sostenibilità, o c’è dell’altro? Ripercorriamo il fenomeno insieme. 

Era marzo 2023 quando Netflix annunciava il cambiamento implementato poi nel mese di maggio, e cioè: 

  • Gli abbonamenti con account condiviso dovranno fare riferimento a un unico nucleo familiare che usi lo stesso indirizzo IP
  • Il costo mensile varierà, e saranno aggiunte pubblicità per chi ha un unico account

“L’account Netflix è destinato a un unico nucleo domestico, ovvero a te e a chi vive con te” diceva la mail inviata agli abbonati. Chi vive con un abbonato, e usa la stessa rete. Regole che intaccano in modo evidente le abitudini di fruizione. Ma se si hanno amici, parenti lontani, se ci sono di mezzo rotture di coppia? Tutto risolvibile per la piattaforma: o si crea un nuovo profilo, quindi un nuovo “nucleo domestico”, oppure si utilizza la funziona “aggiungi utente”, ma l’azione costa. Per l’esattezza 4.99 euro al mese, a carico di chi sottoscrive l’abbonamento. Nessun cambiamento per i prezzi, se non che con il piano Standard sarà possibile aggiungere un solo utente in più, due con il piano Premium.

In che modo l’azienda capisce che un utente è o meno collegato alla rete familiare? Tramite l’indirizzo IP, per questo Netflix ha invitato a verificare i dispositivi collegati all’account attraverso un apposito link con cui “togliere” chi non facesse parte del nucleo familiare. Un altro dettaglio interessante è che Netflix continuerà a considerare una connessione primaria associata a un account solo guardando almeno un contenuto ogni 31 giorni con uno dei dispositivi collegati. Se, infine, ci si collega da un dispositivo fuori casa, sarà inviato un messaggio di verifica al titolare dell’account. 

Di fronte a uno smisurato ventaglio di contenuti di ogni tipo, costantemente aggiornati a un folle ritmo che sta causando anche ingenti problemi ai lavoratori del settore, le piattaforme hanno sempre proposto i loro prodotti a pagamento, senza disturbo pubblicitario.  “Più di 100 milioni di famiglie condividono il loro account, il che influisce sulla nostra capacità di investire in grandi film e serie TV” si leggeva in un comunicato di febbraio 2023 dell’azienda. Si può quindi pensare che la scelta di impedire la condivisione degli account, o meglio di renderla più complessa, controllandola in modo più stringente, sia stata fatta per motivi di sostenibilità aziendale: Netflix non solo acquista serie, ma le produce, il che implica una maggior forza di investimento. Forza ripagata: Netflix resta la piattaforma di maggior successo attualmente in circolazione. 

L’operazione sugli account appare però una sorta di forzatura di abitudini condivise che si lega a logiche di produzione e che ha il mero scopo di costringere gli utenti utilizzatori a pagare una quota: non si scappa, insomma, l’era delle condivisioni a cuor leggero sembra proprio finita. E se fosse arrivato il momento di ripensare seriamente alle nostre abitudini di utenti di prodotti audiovisivi inserendole in un contesto storico cambiato radicalmente negli ultimi anni? Cosa potremmo raccontarci di noi, della nostra dieta mediatica, del marketing e del sistema di intrattenimento dentro al quale viviamo e dal quale, forse, siamo anche un po’ assoggettati?

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Quando il Festival di Sanremo non era in video

È l’evento mediatico più seguito della tv italiana, cinque serate amate e odiate, ma pur sempre attese e analizzate in ogni minimo dettaglio. Parliamo del Festival di Sanremo, la “sfilata di moda” della musica italiana, un carrozzone mediatico che non smette di incuriosire e appassionare dal 1951. Una data che, allo sguardo esperto, rivela tanto. Perché sì, nel 1951 la televisione in Italia non era ancora un dato scontato, e le prime edizioni della gara canora andarono in onda senza video, ma puramente via radio.

Il primo Festival di Sanremo

Venti canzoni in gara, ma tre soli interpreti ospiti sul palco del Salone delle Feste del Casinò di Sanremo: era il 29 gennaio 1951 e la magia aveva inizio: prendeva vita il Festival della canzone italiana di Sanremo. L’idea originale prevedeva un contesto stile cafè-chantant, con pubblico sistemato ai tavolini a cui sorseggiare ordinazioni, camerieri in sala ed esibizioni sul palco. Il tutto grazie all’idea di Amilcare Rambaldi e Pier Bussetti, direttore del Casinò di Sanremo. 

Conduttore dell’evento, Nunzio Filogamo, papà dell’ormai celebre saluto radiofonico «cari amici vicini e lontani», mentre gli artisti in gara erano nomi allora esordienti, ma che divennero poi protagonisti della storia della canzone italiana: Nilla Pizzi Achille Togliani e il Duo Fasano. A vincere fu una canzone diventata poi simbolo, Grazie dei fior, scritta dal maestro Saverio Seracini e interpretata da Nilla Pizzi, secondo posto a La luna si veste d’argento (cantata dal duo Pizzi e Togliani) e terzo posto a Serenata a nessuno, con Achille Togliani unico protagonista. Pregio delle serate era avere un’orchestra dal vivo a disposizione, diretta dal Maestro Cinico Angelini. Ma non era ancora il Sanremo che tutti conosciamo: la stampa non diede quasi notizia dell’evento.

Tra radio e 78 giri: un Festival che si ascolta e non si vede

1951, la metà esatta del Novecento, secolo attraversato da conflitti, ma anche contraddistinto da una straordinaria evoluzione tecnologica che, grazie agli apparecchi radio, accompagnò una crescita entusiasmante dell’industria discografica. Ecco le radici del Festival di Sanremo, ideato per promuovere la canzone italiana.

Sono gli anni di Alcide De Gasperi presidente del consiglio, gli anni del grande ciclismo segnato da Coppi e Bartali e gli anni in cui la cittadina ligure si guarda intorno per trovare idee capaci di animare una stagione solitamente spenta come l’inverno. Ma sono anche gli anni in cui è la radio a dare le notizie, ed è proprio Rete Rossa, antesignana di Radio Rai, a occuparsi del Festival di Sanremo, trasmettendo in diretta le canzoni delle tre serate dell’edizione di esordio. Da un evento nato per animare una cittadina turistica in una stagione morta alla trasmissione televisiva più seguita, attesa e discussa dall’intero sistema mediatico italiano. 

Dietro il via al Festival di Sanremo dei primi anni c’era già infatti un accordo tra case discografiche ed Eiar, la radio. Non era ancora l’epoca della televisione, la cui programmazione in Italia inizierà soltanto tre anni dopo il primo Festival della canzone italiana, il 3 gennaio 1954. Naturalmente firmata Rai, in rigoroso video bianco e nero.

Dalla radio alla tv: Sanremo in video

Oggi Sanremo è trasmesso in diretta sia in televisione, dove va in onda in eurovisione, che in radio. Ma servirono diversi anni per traghettare la manifestazione canora dal mondo del suono a quello del video. Dopo la prima edizione del gennaio 1951, il Festival di Sanremo proseguì ogni anno assestandosi e portando qualche cambiamento, come per esempio la doppia interpretazione per ogni brano, ciascuna con un’orchestra diversa, quella “classica” e quella “moderna”, dirette rispettivamente da Cinico Angelini e Armando Trovajoli. 

E poi arrivò la quinta edizione, nel 1955, la prima trasmessa in diretta non solo radio ma video, in tv, sull’allora unico canale, il Programma Nazionale. Un’edizione in video ancora di prova, perché non totalmente trasmessa via tv, ma solo dopo la fine del varietà allora in programma durante la serata con Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello. Dal 1956 il Festival passò all’eurovisione, e nello stesso anno si svolse la prima edizione dell’Eurovision Song Contest, ispirato proprio alla rassegna italiana.Da allora le cose sono molto cambiate: il Festival è transitato dal Casinò al Teatro Ariston, e ha visto passare tante canzoni ormai evergreen, artisti e immancabili gossip e polemiche. Il tutto trasmesso in video e moltiplicato su altre emittenti e su tantissimi media, a segnalare un passaggio straordinario dal puro suono all’impero della visione. Il passaggio che caratterizza il mondo in cui viviamo oggi, dove spesso non basta una buona canzone, bisogna farla vedere!


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